Pensiamo sempre (e ancora) che mente, corpo ed emozioni siano divisi in compartimenti stagni, uno dentro all’altro e posizionati in luoghi ben precisi del corpo. Questo pensiero è limitante per la pratica delle arti marziali e, in generale, per tutto quel che riguarda la nostra salute. Considerare corpo, mente ed emozioni come entità separate ci porta a lavorarle separatamente, a non contemplare mai il quadro completo e a non poter per tanto approfondire o arrivare al nocciolo delle questioni.
Il Taichi è un ottimo esempio di come si possa, lavorando su uno dei livelli, interagire ed influenzare gli altri due. Può sembrare una contraddizione con quanto detto sopra, da una parte la necessità di lavorare e considerare tutti i piani dell’essere umano e dall’altra la scelta di un percorso “solo” fisico. Pare una contraddizione, appunto, se si pensa che i livelli siano separati. Il livello fisico è quello più semplice da lavorare, da “modellare” e da cui partire, secondo me.
Tutte le correzioni che ci vengono fatte dai nostri prof o dal maestro si possono leggere e interpretare su tutti e tre i livelli. Una persona dai movimenti bloccati, e trattenuti e molto probabile che sia timorosa e indecisa. La correzione base e costante del Taichi è “rilassa”, spalle, schiena, anche, respiro, non è anche la correzione base e costante che possiamo farci nella vita di tutti i giorni? “Rilassa”, mente, preoccupazioni, timori, pregiudizi, ansie. semplicemente “rilassa”.
In questa scuola si privilegia e si parte dal “semplice”, dal lavoro corporeo. Rare volte il discorso si amplia a campi più generici, alla vita e mai vengono toccati argomenti privati o fatte allusioni a tratti caratteriali o al vissuto personale, nonostante siano così ovviamente e palesemente correlati. Questa è un’altra cosa che apprezzo molto di questa scuola, l’umiltà e la discrezione. Il maestro non ha pretese di salvare nessuno, non si presenta come un guru e non ha una risposta a tutte le domande (o se ce l’ha si guarda bene dal dirlo!). Il collegamento mente/spirito/corpo raramente viene esplicitato nel lavoro delle arti marziali per rispetto all’allievo. Il compito di un istruttore è curare l’aspetto fisico, gli altri due livelli sono personali e non è più responsabilità dell’istruttore entrare in merito, tanto più che non avrebbe nemmeno realmente modo di influenzarli. Il cambio deve sempre partire da se stessi, nessuno ci può far cambiare e nessuno può fare il lavoro al posto nostro.
Si lavora sodo, e si lavora dalla base, dall’ABC della salute, il corpo fisico. Impariamo a camminare, a rilassarci, ad ascoltarci. Poi sta alla sensibilità di ognuno decidere per se stesso se vuole portare consciamente il lavoro al livello emotivo o spirituale, oppure semplicemente lasciare che il lavoro si sedimenti e fermenti e si assesti liberamente. Lavorare sulla flessibilità fisica, vuol dire aumentare di pari passo la flessibilità emotiva e quella mentale, lo stesso vale per la rapidità, il rilassamento, la forza.
Siamo un’unità, un organismo fatto a strati, visibili e non, considerarlo come tale e lavorare in questa direzione ci potrebbe, chissà, portare a riconsiderare anche il nostro rapporto con il prossimo e, su una scala ancor maggiore, con il pianeta, con i suoi cicli e le intime correlazioni tra ogni sua cellula. Imparare a pensare al corpo come un’unità, da una parte ci facilita il lavoro su noi stessi e, dall’altra parte, ci costringe a prenderci cura di ogni parte.